Biografia

Paolo Grassi fu milanese d’adozione, ma d’origini pugliesi.

Tutta la sua attività è però indissolubilmente legata a Milano e anche gli anni della sua residenza romana come Presidente della RAI sono sempre vigili nei riguardi delle vicende politiche e civili meneghine.

Preferiva comunque dare di sé un’immagine sprovincializzata, di un intellettuale che guarda l’Italia da esploratore, fuori dai suoi confini.

Nell’arco della sua adolescenza l’Europa era attraversata da due brutali sbandate della storia, nazismo e fascismo, che in campo culturale dettavano percorsi “d’evasione” (la censura imponeva estenuanti attese per poter tradurre o pubblicare o mettere in scena ad esempio Buchner, Wedekind, Kaiser, Gide o Toller).

Giovani intellettuali come Grassi scelsero la prima linea, e come lui tanti altri si impegnarono nel dopoguerra a inventare una nuova Milano offrendo alla città l’opportunità di realizzare nei vari campi di indagine le ragioni dell’arte, da Strehler, a Pandolfi, Apollonio, De Grada, Quasimodo, Veronesi, Joppolo, gli artisti di Corrente -Treccani, Migneco, Birolli. Grassi era curioso di tutto, frequentava le migliori Gallerie d’arte come Il Milione e la Bardi, si interessava di grafica, design, architettura (Uno dei miei rimpianti è che non siamo riusciti a realizzare taluni progetti qui a Milano: il museo internazionale di architettura moderna intitolato a Giuseppe Pagano e la scuola di disegno industriale), musica (aveva assimilato soprattutto dall’amicizia con Rognoni la musica moderna da Schonberg a Dallapiccola, Petrassi, Berg, Malipiero), letteratura (note sono le collane di Teatro della casa editrice Rosa e Ballo da lui ideate che introdussero in Italia un repertorio internazionale di testi tradotti da lui stesso, da Linati, Castellani, Ferrieri, Spaini, Bo, Pocar, Pellegrini, Guerrieri. Ma è nel teatro che convoglia ogni sua energia, probabilmente in un’idea di teatro inteso come forma d’arte totale che realizza la sintesi di tutte le discipline.

PAOLO GRASSI

“Il teatro per me è come l’acqua per i pesci…. Attraverso il teatro io penso tutto il resto: io vedo la politica attraverso il teatro, vedo l’urbanistica. Lo intendo come un momento catalizzatore, un momento centrale di interessi, di attenzioni, un punto obbligato attraverso il quale passa un dialogo, pubblico o anche segreto, anzi è più importante quello segreto.”

Negli anni ’40 si era già fatto conoscere come capocomico della compagnia teatrale Ninchi-Tumiati, come regista, critico dell’ “Avanti”, creatore di collane editoriali. Arriva poi a segnare il suo destino il Piccolo Teatro al fianco di Giorgio Strehler che a proposito di lui ha scritto:

Il Piccolo è stato inventato come idea per primo da Paolo. Poi, subito dopo, da me. Insieme l’abbiamo voluto, costruito nel 1947. Il Piccolo non ci sarebbe stato se non ci fosse stato l’uomo, l’intellettuale, della prassi quotidiana, accanto a me. Ma chi era Paolo Grassi, chi oltre i suoi amici conosce quest’uomo, credo, unico, nella storia culturale di Milano, d’Italia e dell’Europa, se all’Europa dobbiamo fermarci?
Paolo Grassi era per me…un inventore di cultura. Uno stupendo costruttore di cultura nella realtà della storia, in un paese così povero di uomini, che siano al tempo stesso poeti, visionari e figure capaci di calarsi nel concreto delle cose, senza dimenticare mai gli ideali più alti.

Grassi ha attraversato da leone l’epoca della guerra, della resistenza, della liberazione, del boom economico e poi del consolidarsi dello strapotere dei partiti dentro ogni agenzia culturale, mantenendo saldamente il timone dei massimi organismi di spettacolo nazionali come il Piccolo, la Scala e la Rai. Non ha mai taciuto le sue opinioni anche quando sarebbe stato più comodo (il suo dissenso contro le contestazioni del ’68 furono molto criticate anche dai suoi più stretti collaboratori e ancor più le sue invettive contro le feroci lottizzazioni del servizio pubblico televisivo) poiché restò fedele fino in fondo a un’interpretazione di matrice classica della cultura che, amalgamando energie ribelli, stimola all’ordine, alla disciplina, al rigore nel far bene il proprio mestiere.

Fu – anticipando i tempi – un aziendalista convinto, un manager culturale, tessitore di relazioni locali e internazionali utili per il teatro ma anche fecondatrici di idee per il progresso della società civile. L’emancipazione del teatro passò anche attraverso l’ammissione che la distanza tra mestiere e cultura dovesse cadere in disuso. Da tale constatazione prese avvio la gestione del Piccolo Teatro come industria culturale i cui effetti economico-finanziari avrebbero condizionato il processo produttivo.

L’organizzazione secondo me non consisteva nel creare in teatro un clima da apparato burocratico, da vita militare, considerando intoccabile e prioritario l’asse organizzativo, Mi hanno fatto delle critiche in tal senso ma non mi hanno capito. L’organizzazione per me non è, non deve essere un fine. Sia chiaro una volta per tutte. Organizzazione non significa darsi dieci con lode, al termine della stagione, perché è stato rappresentato tutto ciò che era stato annunciato. L’organizzazione, se mai, consiste nell’essere dotati di strumenti che ti consentano di rispondere con efficienza organizzativa a quelle che sono le ragioni supreme per le quali si fa teatro. E che non sono quelle di rispettare un programma, bensì di fare al meglio il programma.

La nascita della formula del “Teatro d’arte per tutti” rende con chiarezza un’intenzione non trascurabile nella storia del teatro italiano del ‘900 che prende definitivamente posizione, grazie a uomini come Grassi, riguardo il nesso indissolubile fra scelte organizzative ed estetiche. Lo Stabile milanese da lui diretto divenne un teatro con una dimora fissa, con spazi di lavoro comune alle maestranze artistiche e tecniche, un luogo dove poter confrontarsi e provare insieme gli allestimenti da presentare al pubblico, punto di riferimento per i cittadini e parte vitale del paesaggio della città.

Credo che l’arte abbia una funzione prepotentemente sociale e che essa si realizzi nella misura in cui arriva a molti e diventa utile al di là della bellezza formale. Il teatro è come un catalogo editoriale, devo saper difendere la  socialità della sua produzione…occorreva pensare nel ‘ 46 alla ricostruzione materiale del Paese ma una società si ricostruisce – come diceva il  Sindaco Greppi – anche con ugual certezza sul piano morale.

È forte e dichiarato l’ideale civico-sociale sia sul piano della gestione che su quello delle scelte drammaturgiche. La riuscita dei suoi progetti fu determinata dalla capacità di aver sollecitato una collettività a prender coscienza di una necessità intrinseca, e di averlo fatto nel momento giusto, quando cioè era tesa a riconoscersi e realizzarsi.
Nel Manifesto del Piccolo si afferma per la prima volta in Italia l’idea di un teatro come servizio pubblico, bene reale della comunità.

In accordo con Giorgio ho sempre lavorato per dare a Milano un teatro stabile, un organismo che racchiudesse in sé una grossissima motivazione d’arte e insieme la solidità di un’azienda e la consapevolezza morale della struttura pubblica con un rapporto nuovo non con un pubblico da organizzare ma con la società nella quale operare.

Il mito dell’efficienza maniacale di Grassi è ricco di aneddoti, dalle sue sedute di prima mattina alla presenza del suo barbiere mentre detta bigliettini per i singoli dipendenti da lasciar loro sulla scrivania per ricordare gli impegni e le priorità, alle sue interminabili lettere recapitate a tutti perché sia chiaro il solco entro cui si operano le singole scelte, scritte con lo stesso tono a politici, attori, critici.

L’efficienza pura è soltanto degli idioti. Non credo in una efficienza non nutrita da una ragione morale, da una tensione ideale… Senza la creatività di un organizzatore come me non si sarebbero potuti fare spettacoli come il Galileo o Il gioco dei potenti.

Amava far funzionare con rigore la macchina teatrale, sia che si trattasse del palcoscenico, delle tournèe estere o delle innumerevoli attività collaterali che si inventava, di stagione in stagione, non tanto per promuovere lo spettacolo (per cui erano previsti altri canali) ma per dare spazio critico ai temi proposti.

La creazione del Centro di Cultura Teatrale rappresentò il coronamento di una politica culturale disegnata con determinazione da Grassi tramite conferenze, mostre, dibattiti dedicati al teatro moderno e ai problemi del teatro nel mondo.

Noi abbiamo seminato non solo con gli spettacoli ma con le visite individuali, con i convegni, con la presenza dialettica prima e dopo gli spettacoli, dovunque il Piccolo andasse, dovunque ci fosse pubblico potenziale da stimolare perché venisse in via Rovello.

Il fascino dell’intelligenza che ammantava questo impresario di teatro a tutto tondo seppe ammaliare ogni collaboratore, attore, intellettuale pur riconoscendo in lui le asprezze dell’operatore culturale costretto spesso dalle leggi del mercato all’arte della diplomazia.

Nella sua operazione Grassi non volle mai dimenticare il fine culturale della sua azione e in questa direzione fece sicuramente riferimento a possibili modelli stranieri, quello francese del Theatre National Populaire, o lo Schauspielhaus germanico, teatri cittadini di prosa con propositi di rinnovamento. Ma l’esempio più prossimo al teatro di via Rovello è il Berliner Ensemble prima della morte di Brecht per le proposte critiche e le modalità della pratica scenica (la società e lo Stato tedesco sono però distanti da quelli italiani). Il Piccolo seppe conquistarsi una sua originalità mediante una posizione attiva verso il pubblico e il potere, riconosciuta in Europa fin dagli anni Cinquanta: sul “Die Weltwoche” svizzero si leggeva: “Milano è diventata una capitale del teatro europeo” e la rivista francese “Theatre Popolare” definì lo stabile “teatro esemplare”.

Grassi seppe far ricoprire al Piccolo il ruolo di ambasciatore di cultura in tutti i continenti fin dagli esordi nelle stagioni d’oro del teatro che realizzò tournée in luoghi mai toccati da altre compagnie, come i Paesi dell’Est e quelli nordici.

Edificò con il suo impegno – profuso dentro e fuori il teatro – una solida cattedrale di relazioni culturali che salvaguardasse il prestigio del nostro Paese: Ho viaggiato con il Piccolo e con la Scala in quasi ogni parte del mondo. La mia convinzione è che dove vi è una manifestazione che faccia capo alla mia persona o una istituzione che ho l’onore e l’onere di dirigere, il mio compito sia quello di dare del nostro Paese una identità diversa. Migliore di quella che viene diffusa dalla cronaca quotidiana di questi tempi sciagurati di crisi e di scandali. È un problema di comportamento e di dignità.

L’identità del teatro milanese potè affermarsi soprattutto grazie ai successi ‘planetari’ di una rinnovata interpretazione della commedia dell’arte attraverso le rotte internazionali di “Arlecchino, servitore di due padroni”, che iniziò le sue tournèe all’inizio degli anni Cinquanta e ancor oggi è acclamato nei palcoscenici del mondo, dall’Asia all’America, dal Nord al Sud d’Europa, da Mosca a Broadway.

La figura di Paolo Grassi incarna una vocazione comica atemporale colta con sapienza dall’amico Giorgio Strehler:
“…del Grande Comico hai la capacità di portare con te, avanti, la gente, le grandi carovane del teatro, i grandi circhi o i piccoli circhi come è stato il nostro…Hai la tirannia del Grande Impresario, questa gloriosa, umana figura che corre lungo il teatro unita e divisa da quella del’attore, a seconda dei casi e talvolta anche scrittore, talvolta persino politico o uomo di mondo. E hai anche la mania meravigliosa dei viaggi attraverso il mondo con la tua baracca, con gli elefanti e le foche quando occorre, quelle che suonano la tromba e che tu ami, e che “deve essere aperta ogni sera, qualunque cosa succeda, perché il teatro non si deve chiudere mai”. Quante volte l’hai ripetuta questa frase?”
Stella Casiraghi